IL TRIBUNALE
    Ha   pronunciato   la   seguente   ordinanza   nella  controversia
 individuale di lavoro promossa da: Fazia Cecilia, residente in Genova
 ed  ivi  elettivamente domiciliata in via XX Settembre, 3/4, presso e
 nello studio dell'avv. Nadia Gobessi che la rappresenta e difende per
 mandato  in  atti,  appellante,  contro,  Bertone  Carmelina e Chiena
 Pierina, residenti in Genova ed ivi domiciliate in via porta d'Archi,
 10/9,   presso  e  nello  studio  dell'avv.  Riccio  Tabassi  che  le
 rappresenta e difende per mandato in atti, appellate;
                             O S S E R V A
    1. - L'appellante ha proposto il gravame con ricorso depositato in
 cancelleria il 3 luglio 1989 avverso una sentenza non notificata  dal
 pretore  di  Genova,  pubblicata  il  23  giugno  1988; dell'avvenuta
 pubblicazione era stata data comunicazione al procuratore della Fazia
 con  avviso  notificato  il  4  luglio 1988. Le appellate eccepiscono
 preliminarmente   l'inammissibilita'   della   impugnazione   perche'
 proposta  dopo  il decorso del termine annuale previsto dall'art. 327
 del c.p.c., norma che stabilisce il decorso di  tale  termine  a  far
 data  dalla  pubblicazione  della  sentenza  (essendo  nelle cause di
 lavoro  inapplicabile  la  sospensione  feriale   dei   termini   che
 comporterebbe  una  proroga).  Parte appellante replica sostenendo la
 tempestivita' dell'appello in  quanto  proposto  entro  l'anno  dalla
 comunicazione  della  pubblicazione  della  sentenza, ed eccependo in
 subordine la illegittimita' costituzionale dell'art. 327  del  c.p.c.
 nella parte in cui fa decorrere il termine dalla pubblicazione stessa
 anziche' dalla comunicazione di essa.
    Il Tribunale deve innanzi tutto rilevare che l'art. 327 del c.p.c.
 e' applicabile anche alle cause trattate  con  il  rito  del  lavoro,
 nulla  disponendo  in  contrario  l'art.  434  del  c.p.c. ed essendo
 applicabili  le  norme  generali  del  codice  dove  esse  non   sono
 specificatamente   derogate.  Inoltre  va  rilevato  che  la  lettera
 dell'art. 327 non consente l'interpretazione datane  dall'appellante,
 perche'  la  espressa  menzione, come momento iniziale per il decorso
 del termine, della "pubblicazione" della  sentenza  non  consente  di
 sostituire   a  tale  evento  un  fatto  diverso  e  cronologicamente
 posteriore.
    In conseguenza l'impugnazione proposta dalla Fazia appare tardiva,
 ed acquista quindi rilevanza in causa l'eccezione  di  illegittimita'
 costituzionale  della  decorrenza  contenuta  nella  norma impugnata,
 posto  che  il  gravame  e'  stato  proposto   entro   l'anno   dalla
 comunicazione dell'avvenuta pubblicazione.
    2.   -   Le   parti   hanno  trattato  specificatamente,  in  note
 autorizzate, i problemi relativi all'eccepita incostituzionalita': da
 un  lato  l'appellante  evidenzia  la  esistenza  di numerosi termini
 processuali, taluni anche di durata assai ampia  (ad  es.  i  termini
 semestrali di cui agli artt. 125-bis, 129- bis e 133- bis delle disp.
 att. del c.p.c.), decorrenti dalla comunicazione di  fatti  rilevanti
 anziche'  dall'accadimento  di  questi,  e richiama anche la tendenza
 della Corte costituzionale, nel corso degli  anni,  ad  estendere  il
 principio  che  il  termine  inizia  a decorrere dalla conoscenza del
 fatto, cioe' da quando la parte e' in grado di agire  in  conseguenza
 (in  tal senso sono citate le sentenze della Corte costituzionale nn.
 159/1971, 255/1974, 15/1977, 102/1986 e 120/86).
    Dall'altro la parte appellata richiama i numerosi casi in cui sono
 tutt'ora previste decorrenze processuali da eventi  che  non  debbono
 essere  previamente  comunicati,  e contesta che nella legislazione e
 nella giurisprudenza sia evidenziabile un  principio  generale  della
 necessita'  di comunicazione per l'inizio del decorso dei termini; in
 particolare viene sottolineato il fatto che in genere gli  interventi
 della  Corte  costituzionale hanno avuto luogo in presenza di termini
 molto brevi, in cui era facilmente ravvisabile un pregiudizio a danno
 della  parte  non  a conoscenza del verificarsi dell'evento iniziale,
 mentre nel caso in esame il termine inosservato ha durata annuale, ed
 e'  quindi tale da consentire, con l'uso dell'ordinaria diligenza, la
 proposizione tempestiva del gravame anche senza previa  comunicazione
 della pubblicazione della sentenza.
    Il  concetto  dell'ordinaria  diligenza  e' stato richiamato anche
 dalla Corte costituzionale, ad es. nella sentenza n. 15/1977, dove si
 osserva   che   il  pregiudizio  della  difesa  (per  mancanza  della
 comunicazione dell'avvenuta fissazione  dell'udienza  di  discussione
 nelle cause di lavoro in sede di gravame ai sensi dell'art. 435/2 del
 c.p.c.) "neppure puo' essere (sempre) evitato con l'uso della normale
 diligenza  da  parte del procuratore". Su tale argomento si e' basata
 la giurisprudenza della Cassazione  (s.u.  n.  3501/1979;  si  vedano
 anche  le sentenze nn. 6412/1979, 5819/1984 e 2799/1987, quest'ultima
 della sezione lavoro) per affermare la manifesta  infondatezza  della
 questione qui in esame, in quanto la ampiezza particolare del termine
 impedirebbe ogni pregiudizio, purche' venga per  l'appunto  posta  in
 essere  l'ordinaria diligenza del procuratore (che effettui periodici
 controlli in cancelleria).
    3.  -  Il tribunale deve innanzi tutto rilevare che l'art. 327 non
 e' l'unica norma che stabilisca un  termine  per  l'impugnazione:  la
 prima  e  piu'  normale  regola  per  la  proposizione del gravame e'
 dettata dall'art. 434 (in tema di processo del lavoro),  applicazione
 particolare,  per  la  parte  che  interessa in questa sede, del piu'
 generale principio dell'art. 326 del c.p.c., secondo cui  il  termine
 decorre  dalla  notificazione  della sentenza (salve le ipotesi degli
 artt. 395, 397  e  404,  in  cui  comunque  la  decorrenza  e'  dalla
 conoscenza   del  fatto  idoneo  a  mettere  in  moto  il  meccanismo
 processuale). L'art. 327, invece, introduce un  ulteriore  principio,
 secondo  cui  si forma il giudicato per il solo fatto obiettivo della
 mancanza di impugnazione entro un anno (salve anche  qui  le  ipotesi
 degli artt. 395, 397 e 404).
    In   questo   caso  si  prescinde  da  ogni  forma  di  conoscenza
 dell'esistenza  dell'atto  impugnabile,  anche  nei   confronti   del
 contumace  (tranne  i casi espressamente previsti dal capoverso della
 norma,  relativi  a   mancanza   di   effettiva   instaurazione   del
 contraddittorio).
    La ratio di una disposizione tanto singolare e' palesemente quella
 di consentire la definizione dei rapporti attraverso  una  formazione
 del  giudicato  entro  un termine tassativo (anche se poi la certezza
 conseguente non potra' mai essere completa, potendo sempre sollevarsi
 dal  contumace  questioni  in  ordine alla instaurazione del rapporto
 processuale); ma nei confronti  della  parte  costituita  il  sistema
 funziona   in  maniera  completa,  con  un  vero  e  proprio  effetto
 saracinesca.
    Vi  sarebbe  da chiedersi se tale disposizione sia compatibile con
 il sistema del processo civile, tutto improntato  alla  regola  della
 disponibilita'  di parte su tutto cio' che abbia effetti sostanziali,
 principio vigente anche nel processo del lavoro.
    Ma   l'indubbia  anomalia  -  che  non  significa  automaticamente
 illegittimita' costituzionale - della disposizione esula dal tema del
 presente giudizio, in cui non e' coinvolto l'intero art. 327, ma solo
 il momento iniziale del termine in esso contenuto.
    4.  -  La  Corte  costituzionale  ha  ripetutamente  avuto modo di
 affermare (si vedano le sentenze sopra citate) che il pieno esercizio
 del  diritto  di  difesa,  garantito dall'art. 24 della Costituzione,
 postula la  possibilita'  di  utilizzare  "nella  sua  interessa"  il
 termine  stabilito  dalla legge per il compimento di un atto; cio' "a
 maggior ragione" se il termine e' breve (sentenza 12  novembre  1974,
 n.  255),  cosa  che  dimostra  come  tale  brevita'  sia un elemento
 rafforzativo dell'argomentazione, ma non costituisce per cio'  stesso
 il  motivo  esclusivo  della decisione: quindi il termine deve essere
 goduto nella sua interezza anche se esso non e' breve, come  conferma
 la decisione della stessa Corte costituzionale 6 luglio 1971, n. 159,
 che ha ritenuta illegittima la decorrenza  dall'evento  interruttivo,
 anziche' dalla conoscenza di esso, prevista dall'art. 305 del c.p.c.,
 del termine, che e' stabilito in sei  mesi  ed  appare  quindi  assai
 ampio.
    La   fattispecie   esaminata  da  quest'ultima  sentenza  presenta
 caratteri di diversita'  rispetto  a  quella  attualmente  in  esame,
 perche'  il fatto previsto dall'art. 305 ha caratteri di eventualita'
 laddove la pubblicazione della sentenza dopo la sua pronuncia  e'  un
 fatto  sicuro (entro un periodo di tempo sufficientemente contenuto);
 ma  il  collegamento  fra  tutte  le  ipotesi   in   cui   la   Corte
 costituzionale  ha  stabilito  la necessita' del godimento intero del
 termine e la esistenza di termini processuali assai ampi  in  cui  la
 legge  o  la  Corte  hanno  stabilito  la  decorrenza dalla effettiva
 conoscenza costituisce certamente un elemento di  considerevole  peso
 argomentativo  in favore della eccepita illegittimita' dell'art. 327.
    5.  -  Di  fronte  a  tale argomentazione l'opposta tesi poggia in
 sostanza su  un  unico  pilastro:  il  termine  annuale  e'  tale  da
 consentire comunque la sua osservanza.
    Ma un discorso assolutamente analogo potrebbe farsi per il termine
 semestrale;  d'altra  parte  quale  dovrebbe  essere  il  termine  di
 incompatibilita'  con  l'ordinaria  diligenza?  L'art. 327 rischia di
 essere elemento di confusione, anziche' di certezza dei rapporti.
    Occorre  anche osservare che l'attesa della comunicazione potrebbe
 essere sempre ritenuta come comportamento non negligente da parte del
 procuratore  se  si  considera che tale adempimento di cancelleria e'
 atto dovuto, la cui  omissione  od  ingiustificato  ritardo  potrebbe
 provocare   ulteriori   questioni  in  tema  di  responsabilita'  del
 funzionario e dello Stato, ad  ulteriore  smentita  dello  scopo  che
 l'art. 327 si propone.
    La  comunicazione  di cancelleria, d'altra parte, risponde a varie
 funzioni, in quanto essa vale a mettere le parti  -  compresa  quella
 vincitrice  -  a conoscenza del contenuto stesso della decisione, per
 quanto attiene al processo ordinario, nonche', in questo ed in quello
 del  lavoro, in grado di sapere che possono avere inizio le attivita'
 processuali ulteriori: esecuzione, regolarizzazionefiscale  ed  anche
 impugnazione,  come  la  stessa  dottrina piu' autorevole ha posto in
 luce.
    E  non  si  riesce  a  ravvisare  alcun  motivo  fondato  per  cui
 l'efficacia  informativa  dovrebbe  essere  disgiunta  da  quella  di
 provocare  l'inizio del decorso di un termine, che tale informazione,
 nei  fatti,  comunque  presuppone,  non  potendosi  in  nessun   caso
 seriamente  ipotizzare  una impugnazione proposta contro una sentenza
 non ancora depositata (a parte il caso, ben diverso, dell'art. 431/3,
 limitato  e  rivolto  ad altri scopi). Per cui, in definitiva, non si
 vede a quale scopo sarebbe stato previsto l'obbligo di  comunicazione
 ("immediata"  nel  processo del lavoro: art. 430 del c.p.c.; entro un
 termine brevissimo nel processo ordinario:  art.  133/2  del  c.p.c.,
 disposizioni  tutte di carattere ordinatorio e non tali da comportare
 differenze sostanziali tra i due regimi), se poi essa fosse del tutto
 indifferente  rispetto ad uno degli scopi principali per i quali puo'
 viceversa essere utile.
    E  cio'  tanto  piu'  in  quanto,  per  i  ben  noti  problemi  di
 funzionalita' degli uffici  giudiziari,  nessuna  fondata  previsione
 puo'  farsi  sulla  data  in  cui  avverra'  la  pubblicazione  della
 sentenza.
    6.  -  Per  le  ragioni  sopra  esposte la questione del possibile
 contrasto fra l'art. 327/1 del c.p.c. e l'art. 24 della  Costituzione
 non  si  presenta  come manifestatamente infondata e quindi, ai sensi
 dell'art. 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948,  n.  1,  essa
 deve  essere  rimessa  al  giudizio  della Corte costituzionale, alla
 quale soltanto spetta di decidere sulla fondatezza o meno.